I fermenti neo separatisti, o “indipendentisti”, che dir si voglia, in diverse regioni d’Italia ci sono da sempre: dalla Sardegna, al Veneto, alla Sicilia. Sono aspirazioni che affondano le radici in tempi lontani, aspirazioni rimaste tali, quasi sempre perché le stesse collettività dalle quali scaturiscono probabilmente non credono che possano tramutarsi in realtà. Alla ribalta della cronaca c’è, in maniera prioritaria, il Veneto il quale crede che, primo o poi, riuscirà ad avere la sua indipendenza. I sostenitori del “Veneto Indipendente” affermano d’aver fatto un passo avanti. Gabriele De Pieri, presidente del “Governo Nasionae Veneto del popolo Veneto”, quarantasettenne, di Loreggia, ha rilasciato un’intervista al “Mattino di Padova”, informando che “Dall’1 al 3 dicembre scorsi, una nostra delegazione ha partecipato in Svizzera al ‘Forum on business and human rights’ organizzato dall’Onu”, sostenendo che è “il primo passo verso il riconoscimento internazionale del nostro popolo.” Gabriele De Pieri ha spiegato che “Stiamo procedendo con il nostro percorso che è prettamente giuridico, non politico, e ci porterà all’auto-determinazione e al riconoscimento del popolo veneto. Ad oggi abbiamo già raccolto oltre 20.000 adesioni di persone che si sono iscritte all’anagrafe storica del popolo Veneto, dalle nostre terre ma anche da Canada, Stati Uniti, Belgio, Francia, Germania, Istria, Australia”. E chissà se questo tentativo possa ottenere dei risultati.
Dall’altra parte del Nord si guarda al Sud. Il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, informa che un sondaggio Ixè per il programma di Rai3, Agorà, riporta che il 14% degli elettori meridionali e delle isole potrebbe appoggiare la candidatura del numero uno del Carroccio. La “Lega del Sud” potrebbe contare, quindi, su una buona base dalla quale partire per dare il via al suo primo vero programma politico nel sud Italia, anche se il 59% degli abitanti del meridione non voterebbe il neonato partito di cui, ancora, non si conoscono il nome e il simbolo.
Matteo Salvini non ragiona, a quanto pare, in termini di “indipendenza” o in termini “secessionistici”, ma coglie il senso di sfiducia verso le istituzioni che i Siciliani provano in un buon cinquanta per cento (quello che non va alle urne). D’altra parte e nonostante la presenza nell’Isola di numerosi gruppi “Indipendentisti”, l’idea di una Sicilia che possa camminare da sola sulle proprie gambe passa a pochi per la testa. Forse qualche decennio addietro (anni Settanta/primi dell’Ottanta) le situazioni si presentavano in maniera diversa.
Vale la pena ricordare un lungo reportage che il regista Damiano Damiani realizzò in prima persona nel 1979 che venne trasmesso su RaiTre nel 1980, che iniziava con queste frasi pronunciate dallo stesso regista:
“Stiamo arrivando in Sicilia. La Sicilia è un’isola, questo si sa, però è un’isola particolare, un’isola con il problema. Un problema dovuto alla sua storia, difficile, contraddittoria, tormentosa, la sua storia nella quale, come un fuoco sotto le ceneri ha sempre covato un’idea, quella dell’indipendentismo, che nei riguardi dell’Italia continentale si può chiamare, appunto, separatismo. L’idea, cioè, di una Sicilia completamente slegata da ogni legame e da ogni interferenza esterna. Questo separatismo ebbe una fiammata negli anni finali della guerra, ’43, ‘44, ‘45, poi ‘46, ‘47 nell’immediato dopoguerra, e infine si spense, si affievolì, ma nell’Italia continentale di questo fatto si è saputo pochissimo perché l’Italia, grazie al fascismo, era diventata un campo di battaglia di eserciti stranieri i quali l’avevano arata e distrutta dal sud verso il nord, interrompendo le vie di comunicazione, rendendo impossibili le notizie, i giornali, il movimento delle idee. Noi siamo venuti oggi in Sicilia, a tanti anni di distanza, per conto della televisione per fare un servizio sul separatismo. Io sono un uomo del nord, ho fatto cinque film in Sicilia, amo la Sicilia. L’amo, l’amo, non so perché. Forse semplicemente perché sono un uomo del nord”.
Damiani si fermò a lungo in Sicilia, spostandosi continuamente con la sua troupe da un capo all’altro dell’Isola per far parlare la gente comune, personaggi ancora viventi di un momento storico irripetibile, tanti, tanti studiosi per capire fino in fondo cosa fosse stato l’Indipendentismo siciliano e per fare conoscere a tutti gli italiani cosa avesse significato quel “fenomeno popolare” che avrebbe potuto cambiare il destino del Paese e forse d’Europa.
A conclusione del suo viaggio Damiani saluta così la Sicilia: “…La storia. La storia ci dice che in un certo giorno, in un certo luogo di una certa ora fu sparato un colpo di fucile. Ma perché questo colpo fu sparato e quali furono le ripercussioni questo è materia di ipotesi e di interpretazioni che dopo si protraggono all’infinito e le certezze scivolano via dalle dita della mano come l’acqua. Ma non è certo un senso di vuoto che questo viaggio siciliano consegna alla nostra memoria, questa è l’opinione di tutti i collaboratori della troupe. Noi siamo stati, al contrario, gratificati da una straordinaria ricchezza di comprimari, persone che noi ricordiamo per le passioni, le trepidazioni, per le amarezze che ci hanno svelato, per quell’interesse che ci hanno trasmesso con ciò che ci hanno detto e anche per ciò che ci hanno taciuto. Questa è la nostra certezza, tanto che vorremmo scrivere la storia parlando non dei grandi fatti, dei grandi conflitti, ma di quello che la gente comune ha provato. E adesso il nostro sentimento ci dice che il separatismo non è un bisogno insoddisfatto totale, ma solo il desiderio legittimo di una collettività di conservare il proprio carattere, di esprimere la propria identità. E’ un sentimento che non è finito, ma è un sentimento con il quale gli altri italiani, quelli specialmente che con pregiudizio considerano ancora oggi la Sicilia una trascurabile periferia, dovranno ancora fare i conti”.
Damiano Damiani, scomparso lo scorso anno, forse cambiò opinione sull’atavico “sentimento” dei Siciliani per la loro indipendenza, o forse sottovalutò l’apatia e l’indifferenza che i Siciliani avrebbero accumulato nel corso degli anni. Sta di fatto che alla bandiera giallo e rossa con l’immagine della Trinacria al centro, i Siciliani ormai hanno sostituito e issata alta sul pennone una semplice bandiera bianca, un pezzo di stoffa tanto simile a un sudario funebre.
Così è, se vi pare…